martedì 1 aprile 2014

"Non bocciate quel bambino!" - Dove non ci sono i supporti, arrivano i bimbi.

Quando dei bambini (dei GRANDI bambini) di prima media riescono di più dello Stato, e arrivano proprio dove mancano tutti i supporti.
Ecco da chi imparare.
Racconto-intervista tratta da Vanity Fair, di Andrea Carugati

«Prof, se continua con questi voti, Matteo lo bocciate?». La risposta non aveva lasciato dubbi ai bambini della prima B. Eppure Matteo non è uno studente svogliato o distratto o incapace. Matteo è semplicemente un bambino cinese: il suo vero nome è Xu Jin Yu, è arrivato pochi mesi fa dal sud della Cina, e come decine di altri figli di immigrati solo nel comprensorio scolastico della zona, parla poche parole d’italiano.
Un bel problema per i pur volenterosi insegnanti delle medie Sandro Pertini di Assago (Milano), che solo poche ore alla settimana possono contare su una traduttrice del Comune, e per il resto devono fare da sé. Così, a Matteo, decidono di pensarci i suoi compagni, organizzandosi. «Che problema c’e’? Lo aiutiamo noi. Non ha colpe se non parla l’italiano, giusto prof?», chiedono Alex, Claudio, Davide, Emanuele, Linda, Luigi, Manuela, Martina, Sara, Vanessa e tutti gli altri della prima B.
Chi conosce meglio la matematica insegna a Matteo la matematica, chi conosce meglio l’italiano insegna l’italiano, e così via, usando per capirsi il linguaggio universale della musica.

«Con la musica, e in parte anche con l’informatica, abbiamo sviluppato una specie di alfabeto», raccontano. «Matteo è intelligente e riusciamo a comunicare con questi sistemi che ci siamo inventati. Poi usiamo il traduttore di Google sul cellulare: la classe è come una squadra e lui è uno di noi».

Facile? Per nulla. Gli improvvisati insegnanti di sostegno sperimentano anche quanto possa essere un mestiere duro e faticoso: «Siamo felici di dargli una mano, ma a volte è molto difficile», dicono Vanessa e Linda, che aiutano Matteo in diverse materie. «Però ne vale la pena: lui sta andando meglio e badare alle sue necessità rende più responsabili anche noi». La cosa più sorprendente, come sottolinea anche Giuditta Lombardi, coordinatrice della classe, è il cuore dei suoi alunni, la naturalezza con cui si stanno dedicando a un’impresa in fondo straordinaria.

Perché, ci si potrebbe chiedere, perdere tempo con un compagno? E le risposte dei ragazzi sono così semplici, naturali e oneste da apparire rivoluzionarie: «Perché era in difficoltà. Perché non ha colpe. Perché bisogna capire che è un bambino lontano da casa propria e che non deve essere facile vivere così. Perché l’immigrazione è una cosa triste: lasciare la vecchia casa per andare in una nuova, in un posto sconosciuto, è brutto, no? Perché restare soli e lasciare gli amici, i vecchi compagni è difficile. Perché é giusto aiutare i nuovi arrivati, accoglierli, e farli sentire bene, come a casa loro». Capito?

Ps: Dopo l’intervento di sostegno dei compagni, Matteo sta lentamente risalendo la china dei voti e forse non verrà bocciato. Si impegna, studia, e appena può mette a frutto gli insegnamenti della «squadra». Per esempio, con quattro parole che tiene a dire in italiano, sussurrate timidamente: «Grazie per avermi aiutato».

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